Malattia di Alzheimer
Il disturbo neurocognitivo dovuto a malattia di Alzheimer è la più diffusa forma di demenza associata...
Inquadramento del disturbo neurocognitivo dovuto a malattia di Alzheimer
Il disturbo neurocognitivo dovuto a malattia di Alzheimer è la più diffusa forma di demenza associata all'invecchiamento, rendendo conto da sola di circa il 50-60% di tutti i casi di compromissione cognitiva in età avanzata. Attualmente, le persone affette da questa patologia a livello globale sono circa 36,5 milioni (600.000 in Italia) e il loro numero è inevitabilmente destinato a crescere a causa del progressivo allungamento della vita media e dell'aumento della quota di soggetti persone anziane. Secondo le stime ufficiali, nel 2050 i malati di Alzheimer nel mondo saranno circa 115 milioni.
La malattia di Alzheimer esordisce nella maggior parte dei casi dopo i 60 anni (7% dei casi tra 65 e 74 anni; 53% dei casi tra 75 e 84 anni; 40% dei casi dopo gli 85 anni), con un'incidenza che raddoppia ogni cinque anni, arrivando a interessare circa una persona su 3-4 dopo gli 80 anni. La malattia colpisce con frequenza paragonabile uomini e donne, ma queste ultime ne sono più spesso interessate a causa dell'attesa di vita più prolungata. La probabilità di sviluppare disturbo neurocognitivo dovuto a malattia di Alzheimer è, in parte, legata alle caratteristiche genetiche individuali, ma soltanto nel 2-3% dei casi si riconoscono forme ereditarie. Avere un nonno o un genitore con demenza esordita in età avanzata non espone, quindi, necessariamente a un maggior rischio di esserne colpiti a propria volta. Dei possibili geni coinvolti nello sviluppo della malattia di Alzheimer l'unico per il quale si abbiano informazioni certe è quello dell'apolipoproteina e4 (APOE e4), che costituisce un fattore di rischio per lo sviluppo precoce della malattia e un supporto alla diagnosi in persone che presentano già sintomi cognitivi e comportamentali, ma non un marker diagnostico specifico, dal momento che la sua presenza non è sufficiente, da sola, a causare la neurodegenerazione.
A oggi, l'origine esatta della malattia di Alzheimer non è nota. Da alcuni anni, si sa, però, che la sua insorgenza è legata soprattutto all'accumulo, rispettivamente all'esterno e all'interno dei neuroni presenti nel cervello, di due particolari proteine chiamate beta-amiloide e proteina Tau. Entrambe queste sostanze esercitano un'azione tossica che determina una morte più rapida delle cellule nervose, soprattutto di quelle presenti in aree cerebrali importanti per la memoria (ippocampo e amigdala), interferendo con la capacità di acquisire e trattenere informazioni. Chi ne soffre, quindi, fatica soprattutto a ricordare eventi recenti e a imparare nuovi concetti (ad es., per esempio, che cosa ha mangiato il giorno prima o una frase letta o ascoltata da poche ore).
Con l'evolvere della malattia, memoria e apprendimento peggiorano progressivamente e la neurodegenerazione si ripercuote anche su altre zone del cervello da cui dipendono l'orientamento spazio-temporale, il comportamento, l'umore, la capacità di comunicare ed eseguire tutte quelle operazioni "complesse" che risultano indispensabili per essere autonomi nella vita quotidiana, come cucinare, fare la spesa o prendersi cura della propria persona.
In fase iniziale, la malattia di Alzheimer può avere un andamento oscillante, con peggioramenti estemporanei, che spesso richiedono il ricovero ospedaliero per alcune settimane, e periodi di maggior benessere, durante i quali il paziente può essere seguito a domicilio. In genere, però, nell'arco di alcuni anni diventa inevitabile il trasferimento in reparti di lungodegenza. La durata media della malattia viaria da 8 a 20 anni, in relazione all'età d'insorgenza e alla velocità del declino neurocognitivo e fisico globale.
Sintomi e diagnosi della malattia di Alzheimer
I principali sintomi associati a disturbo neurocognitivo dovuto a malattia di Alzheimer che devono indurre a richiedere una valutazione specialistica da parte di un neurologo di un'Unità di Valutazione Alzheimer (UVA) sono:
- difficoltà nel ricordare fatti recenti (avvenuti da pochi giorni, settimane o mesi) o nuove informazioni;
- difficoltà di orientamento nello spazio e nel tempo (problemi a ricordare la strada di casa, a ricordare il giorno della settimana, il mese ecc., o a valutare l'ora del giorno; sovrapposizione mentale di eventi avvenuti in momenti diversi);
- disturbi del linguaggio (difficoltà a elaborare frasi e a esprimersi);
- disturbi del pensiero (confusione mentale);
- disturbi della coordinazione e del movimento (con conseguenti difficoltà nello svolgere attività quali vestirsi, lavarsi, cucinare ecc.);
- depressione e/o irritabilità;
- reazioni impulsive/violente.
Per essere indicativi di malattia questi sintomi devono avere un'intensità tale da interferire significativamente con la vita quotidiana, non essere legati alla presenza di altre malattie fisiche o psichiatriche né all'assunzione di farmaci o sostanze, e persistere nel tempo, peggiorando progressivamente, seppur con intensità e velocità variabili.
Sulla base dei sintomi, dell'anamnesi personale e familiare e della valutazione clinica, il medico può ritenere di essere di fronte a caso di "possibile" malattia di Alzheimer. Per emettere arrivare a una diagnosi più precisa e affidabile di "probabile malattia di Alzheimer" (a oggi, per legge, per avere la certezza di malattia è ancora indispensabile effettuare l'esame anatomopatologico del tessuto cerebrale post mortem), la visita neurologica deve essere completata dall'analisi del fluido cerebrospinale e dall'esame neuroradiologico dell'encefalo con risonanza magnetica funzionale (RMf) o tomografia a emissione di positroni (PET), nonché, se possibile, dalla ricerca del gene APOE e4. La certezza di malattia, invece, per legge, può essere stabilita soltanto post mortem, dopo aver effettuato l'esame anatomopatologico del tessuto cerebrale e aver riscontrato gli accumuli di beta-amiloide e proteina Tau e le altre alterazioni caratteristiche, come l'atrofia della corteccia cerebrale.
Trattamento della malattia di Alzheimer
Nonostante le intense ricerche condotte negli ultimi decenni, per la malattia di Alzheimer non è ancora stato possibile mettere a punto una cura adeguata. Gli interventi che possono essere proposti oggi ai pazienti, se intrapresi in fase iniziale, possono attenuare i sintomi della malattia per un certo periodo, ma non rallentarne né modificarne il decorso complessivo. I principali approcci disponibili si basano sulla somministrazione di alcuni farmaci dall'azione neuroprotettiva od orientati a ridurre i sintomi comportamentali e su programmi di riabilitazione funzionale/cognitiva.
Riabilitazione funzionale
Quando la malattia di Alzheimer è diagnosticata in fase iniziale, si possono intraprendere percorsi riabilitativi specificamente studiati per stimolare i circuiti neuronali non ancora intaccati dalla degenerazione e in grado di compensare quelli parzialmente deficitari, permettendo di mantenere una maggiore autonomia più a lungo. Con questo tipo di intervento, spesso, si riescono a ottenere buoni risultati, ma anche in questo caso gli effetti favorevoli sono transitori. La riabilitazione funzionale/cognitiva può essere effettuata sia nel corso di ricoveri di 3-4 settimane sia in regime ambulatoriale, nel contesto di strutture specializzate nel trattamento delle demenze.
Interventi di supporto
Accorgimenti utili per preservare una migliore funzionalità cerebrale più a lungo, validi sia nei pazienti con demenza sia nei soggetti sani, riguardano lo stile di vita. In particolare, si è visto che vivere in un ambiente stimolante, sollecitare la mente con la lettura, lo studio o l'ascolto della musica, praticare attività fisica ogni giorno, preferibilmente all'aperto e insieme ad altre persone, mantenere buone relazioni sociali, dedicarsi a hobby e attività piacevoli sono tutti elementi in grado di rallentare in una certa misura il declino cognitivoassociato all'invecchiamento fisiologico o patologico.
Anche l'alimentazione sembra influenzare le prestazioni intellettive dell'anziano e alcuni studi osservazionali e ricerche di base indicano che una dieta ricca di flavonoidi o altri composti antiossidanti e acidi grassi essenziali della serie omega-3 potrebbe avere un ruolo parzialmente neuroprotettivo. Va precisato, tuttavia, che al momento non esistono prove inequivocabili in questo ambito e che non è quindi possibile sfruttare le proprietà di singoli composti o alimenti a scopo terapeutico. Ciò non toglie che arricchire l'alimentazione quotidiana di frutta e verdura fresca, pesce, noci, mandorle e oli vegetali sia generalmente consigliabile a ogni età.
Per informazioni sulle sedi e sulle modalità per contattare le Unità di Valutazione Alzheimer è possibile rivolgersi all'Associazione Italiana Alzheimer o direttamente a uno dei Centri che si occupano della malattia (www.alzheimer.it/centri.html).
Fonti
- Alzheimer Italia: www.alzheimer.it
- DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Raffaello Cortina Editore, Milano 2014
- Mayo Clinic: www.mayoclinic.com/health/alzheimers-disease/DS00161
- Manuale Merck: www.msd-italia.it/altre/manuale/sez14/1711494.html#s18