L’ipocondria ai tempi della emergenza COVID-19
Gil ipocondriaci hanno vissuto l'esperienza del lockdown in modo più drammatico rispetto ad altri.
La lunga pandemia da COVID-19 è stata difficile per tutti, in parte per il forzato isolamento sociale, in parte per la paura di contrarre il virus e di vedere se stessi o i propri cari in pericolo di vita. C’è però una particolare categoria di persone che hanno vissuto questa esperienza in modo più drammatico di altri, ed è quella degli ipocondriaci.
Questi soggetti sono infatti affetti da un disturbo psichico che si manifesta con una paura patologica delle malattie, anche in periodi tranquilli dal punto di vista della sanità pubblica. Si può ben comprendere quindi che una situazione eccezionale come quella dell’inizio del 2020, per queste persone, rappresenti – letteralmente – la realizzazione dei peggiori incubi.
Un disturbo difficile da definire
Quando si cerca di definire l’ipocondria, come spesso accade per i disturbi psichici, ci si accorge che essa ha diverse manifestazioni e sovrapposizioni con altri disturbi. Secondo la recente letteratura, si possono tuttavia definire alcune caratteristiche peculiari. Il soggetto ipocondriaco infatti:
- ha una eccessiva paura di avere o sviluppare una malattia grave che non gli è mai stata diagnosticata e che può influenzare negativamente la sua vita
- è molto attento anche alla più piccola sensazione corporea, che spesso interpreta come un segno di malattia
- persiste in questo suo stato di ansia e preoccupazione anche se ha risultati di esami nella norma, e ne soffre in modo cronico.
L’ipocondria tuttavia ha alcune manifestazioni che caratterizzano anche altri disturbi, come il disturbo d’ansia generalizzato, il disturbo ossessivo compulsivo o la depressione. È per questo che il Manuale diagnostico dei disturbi psichiatrici, meglio noto come DSM, ha adottato dal 2013 due nuove definizioni. Se oltre all’ansia per il proprio stato di salute non sono presenti sintomi somatici (tipicamente un dolore percepito in qualche parte del corpo) si parla di disturbo da ansia da malattia (DAM). Se invece sono presenti anche sintomi somatici, la diagnosi è di disturbo da sintomi somatici.
È interessante notare che le persone affette da ipocondria – o da disturbo d’ansia da malattia che dir si voglia – non hanno tutte lo stesso atteggiamento nei confronti di visite mediche ed esami. Anzi, il DSM riconosce due tipologie di ipocondriaci tra loro agli antipodi: il tipo richiedente l’assistenza e il tipo evitante l’assistenza. Nel primo caso, il soggetto si reca spesso dal medico senza mai esserne rassicurato, richiede esami e approfondimenti spesso inutili e cambia spesso specialista di riferimento. Nel secondo caso, l’ansia che il medico possa rivelare una diagnosi di grave malattia è così intensa che il soggetto fa di tutto per evitare visite ed esami.
Il trattamento dell’ipocondria
Il soggetto ipocondriaco viene spesso considerato una sorta di macchietta, un malato immaginario con dei comportamenti bizzarri, a volte anche comici, tanto da comparire spesso come personaggio nei film comici o negli spettacoli di cabaret. Bisogna invece considerare che l’ipocondria è la manifestazione di un disagio e di una sofferenza interiore spesso profondi, che meritano la giusta attenzione e un adeguato sostegno da parte di professionisti.
La prima figura che dovrebbe prendere sul serio il soggetto ipocondriaco è il medico di famiglia, che dovrebbe evitare di prescrivere esami inutili solo per tranquillizzarlo. Sarebbe invece più utile informarlo sulle possibilità terapeutiche: per questo tipo di disturbo, si è rivelata efficace la psicoterapia di approccio cognitivo-comportamentale.
Sul tema è utile segnalare il risultato di uno studio condotto proprio durante l’apice della crisi per gli ipocondriaci. Il lockdown li ha infatti segregati in casa, come il resto della popolazione, e molti di loro hanno dovuto proseguire le sedute di psicoterapia da remoto, usando diverse piattaforme per videoconferenze. Ebbene, uno studio condotto da Erland Axelsson e colleghi del Karolinska Institut di Stoccolma, in Svezia, e pubblicato sulla prestigiosa rivista “JAMA Psychiatry” ha concluso che la psicoterapia cognitivo-comportamentale che si svolge online non è inferiore a quella che si svolge con la modalità tradizionale faccia a faccia.
È un piccolo risultato, certo, ma che fa sperare che le persone ipocondriache abbiano avuto un’adeguata assistenza durante il lockdown. Inoltre, getta una luce positiva su una nuova modalità di fruizione della psicoterapia che si sta diffondendo e che spesso è stata criticata dai puristi.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/NBK554399/
https://jamanetwork.com/journals/jamapsychiatry/article-abstract/2765960