Il pettirosso smarrito
Il pettirosso smarrito
Sono le otto meno un quarto del mattino e ho passato la precedente mezz’ora ad ignorare la sveglia. Dopo aver spento violentemente l’arnese malefico, mi lavo e vesto alla velocità della luce e, prima di uscire di casa, prendo al volo dal frigorifero un kinder fetta al latte ed un succo. Stranamente sono riuscito ad arrivare a scuola alle otto e cinque.
Alla prima ora la prof. rompi di italiano. Quest’anno ci tocca Dante, io preferirei Leopardi, ma chi glielo va a dire. “Buongiorno ragazzi. Verifica a sorpresa! Ah ah …dai verifica è un po’ troppo, laboratorio di scrittura.”
Queste parole mi mandano nel panico. Piuttosto che su Dante riuscirei sicuramente meglio in una verifica sulla storia di Pokémon Violetto. Da tre pomeriggi non gioco ad altro fino a notte fonda. L’angoscia, però, si placa una volta vista la traccia: Racconta un momento della tua vita in cui tu o un tuo amico si è sentito smarrito come Dante nella Selva Oscura.
E vai …sono il re dello smarrimento, praticamente sono sempre smarrito. Chi meglio di me capisce Dante e il suo tormento. Tutto sommato non era difficile sapere cosa scrivere per accontentare la prof. e acquietarla.
Comincia così il mio testo: “Il mio periodo di smarrimento è iniziato ad aprile a causa della fine della relazione con Lara e, nonostante io sia in buoni rapporti con lei e sia riuscito a superarla, la confusione che genera questo periodo continua tutt’ora. Non riesco a capacitarmi di come una cosa così stupida mi abbia portato ad aggravare i miei sintomi.
Ho scoperto di soffrire di derealizzazione, il mio peggior nemico, grazie ad un post sui social che spiegava i sintomi. Quel post mi ha acceso una lampadina, come se tutto quello che vivo e provo ha finalmente una spiegazione ed un nome. Il mio obiettivo è tutt’ora quello di trovare una soluzione, una cura per questa cosa mi crea problemi e barriere. Naturalmente non mi sono fermato al post social e ho consultato uno psicologo che in parte mi è stato d’aiuto nel confermare il problema ed iniziare a risolverlo.
La derealizzazione non ha sintomi visibili ma, dal mio punto di vista, la vivo come un viaggio astrale, come se non fossi protagonista della mia vita ma vivessi in quelle degli altri. È molto difficile spiegare quello che provo, non potrei nemmeno fare paragoni con dei momenti di lucidità perché non ricordo qual è stata l’ultima volta che sia stato lucido. Oltre che smarrimento mi crea anche molta solitudine, sui social e non solo, se ne parla pochissimo di questo disturbo. Nel periodo in cui ero con Lara i sintomi erano meno pesanti, mi sentivo più “con i piedi per terra” e meno limitato nelle mie azioni quotidiane. Ad aprile, anche per altri fattori esterni alla relazione, tutto è precipitato. Da allora non ho più capito nulla se non il peso della patologia e, mi sentivo e mi sento in parte tutt’ora, un vegetale, come se la vita vivesse me e non il contrario.
Un po’ come Dante, ho provato a risalire sul colle cercando la via della salvezza. Ho provato a cercare nuovi amici e sono finito in una relazione a distanza nella quale ho perso interesse quasi subito. Troppi dubbi, troppe incertezza, difficile capire, per me e per chi mi sta intorno, il confine tra realtà e finzione, la mia mente e il corpo sono scollegati tra loro. Voglio e cerco sincerità e chiarezza dagli altri e sono confuso con me stesso. E poi ho anche paura. Ho paura di dover intraprendere un percorso terapeutico per porre rimedio alla mia patologia, ho paura di perdere ancora più interesse in tutto e di rendermi conto di quanto sia vera la vita. Già perché la visione ovattata che ho del mondo mi è d’intralcio, ma mi tutela. Ho paura e sono terrorizzato per gli effetti del disturbo e della cura, già… potrebbe non funzionare e mi farebbe tornare a vivere nella mia dimensione, nell’oblio.”
Queste parole, a quanto pare e a dir poco, colpiscono molto la professoressa. Il giorno dopo, mi ha chiesto di parlarne, naturalmente in privato. La prof. mi fa tantissime domande, io fisso il tatuaggio sulla sua caviglia in lacrime. È un pettirosso nero con al centro una macchia rossa.
In quel pettirosso cerco le risposte da darle, seppure a stento. Non so e non ricordo cosa le ho detto. Di fatto, in qualche modo, mi sono sentito liberato, pronto a ritrovare nuova energia.
Qualche giorno dopo la prof. mi ha proposto di candidare il mio testo ad un concorso di scrittura. Non ho vinto naturalmente il concorso e non ci sono nomination, però so che raccontarmi mi ha dato la forza di iniziare a parlare del mio malessere e di far conoscere l’esistenza del disturbo dissociativo di cui soffro.
Classe IIIQ
Istituto Salvemini
Fasano