Non ti scordar di me
Non ti scordar di me
È un fresco pomeriggio invernale, la pioggia risuona tra le vie della città mentre piccole goccioline precipitano scivolando lungo la tettoia che sovrasta e protegge la fermata dell’autobus. Le ruote delle macchine corrono sulla scivolosa strada lasciando dietro di loro una scia; l’odore dell’asfalto bagnato aleggia nell’aria e una fitta nebbia avvolge i pochi temerari pedoni che hanno osato addentrarsi in essa sfidando il gelido tempo.
Una giovane donna dai capelli scuri e corti, raccolti in una scompigliata coda, è adagiata su una fredda panchina in ferro. Avvolta da un morbido cappotto in pelle, si stringe tra sé per non disperdere il poco calore disponibile, accarezzandosi dolcemente con la mano il ventre prominente. L’altra mano è invece impegnata a sorreggere e sfogliare i “Canti” di Leopardi, mentre i suoi occhi scorrono tra le righe delle poesie. I lineamenti del viso sono marcati, le sopracciglia lievemente aggrottate e le labbra screpolate costantemente accarezzate dalla lingua.
Accanto a lei, un anziano signore accompagna verso l’alto la zip della sua giacca per scacciare i tremolii provocati dal freddo. I suoi capelli sono bianchi e il suo viso segnato da rughe che lo percorrono per tutta la lunghezza, testimoniando l’età avanzata. I suoi occhi glaciali riflettono come uno specchio la strada bagnata adornata da brillanti goccioline che come perle si incastonano tra l’asfalto. L’anziano, notando la condizione della donna, si rivolge a lei domandando con voce morbida e gentile: “Quanto manca al parto?”. La donna lo guarda con due occhi grandi, ricolmi di inquietudine e sofferenza poi, con leggera difficoltà, le pallide labbra si allontanano tra di loro lasciando spazio a timide parole: “Ormai poche settimane”, risponde con voce sottile e fioca.
I pochi passanti iniziano a scomparire trascinati via dalla fredda brezza, alcuni tuoni lacerano il cielo e dei lampi lo illuminano. Il buio si infittisce e il freddo supera impavidamente la lana dei maglioni, penetrando nelle ossa oramai stanche. L’anziano signore, avvertito l’abbattimento della donna, la consola rivolgendosi a lei con dolci incoraggiamenti. “Forza, ce la puoi fare”, la rincuora, “Stai avendo difficoltà?”. “Parecchie” ammette la donna. Interessato, l’uomo continua: “Cosa mi dici della tua famiglia? Sono sicuro siano tutti in trepidante attesa e pronti a sostenerti”. “È complicato” si limita ad ammettere lei. “Siamo solo io e mio padre… ma lui è malato.” “Mi dispiace” sussurra infine l’anziano.
Il silenzio cala, mentre gli animi si rattrististano; la giovane non ha trovato il conforto necessario, l’uomo ha incontrato la sofferenza della sua condizione. Scoccano le ore cinque e trenta e l’autobus, puntuale, si presenta alla fermata. Il rumore dei freni avverte i due del suo imminente arrivo mentre delle gocce provenienti da una pozzanghera urtata dalla ruota, schizzano sulle loro ginocchia. L’autista apre le porte invitando la coppia in attesa a salire a bordo. La giovane donna si alza, trascinando con fatica l’ingombrante peso del suo ventre. Superata la tettoia, i suoi capelli iniziano a bagnarsi e lei, irritata, li sposta sistemandoli dietro le orecchie e rivelando il tatuaggio di un piccolo fiore violetto inciso sul collo. Appoggia il primo piede sulla scaletta di entrata del pullman, esita immobilizzandosi per qualche secondo. Poi, notando di non essere stata seguita e imitata nel gesto, gira lo sguardo verso la panchina della fermata. L’autista, scocciato, notando l’esitazione della donna, tira fuori il telefono dalla tasca e subito viene rapito dal mondo dei social, disinteressandosi degli avvenimenti circostanti. L’anziano è ancora lì seduto. Le mani in tasca. Lo sguardo che sembra perdersi nel vuoto, come se non si fosse reso conto dell’arrivo dell’autobus. I pensieri sembrano aver abbandonato la sua mente, serpeggiando senza meta per le desolate strade. Il suo cervello sembra essere congelato e rinchiuso in un frigorifero. La giovane allora ripercorre i suoi passi, avvicinandosi con stanchezza all’anziano. Dolcemente accarezza le sue tiepide mani, prima di accoglierlo con cura in un abbraccio. Il contatto provoca un leggero sussulto nell’uomo che sembra quasi ritornare alla realtà. La donna infine, con tono amorevole e disponibile, si rivolge a lui: “Forza papà, andiamo, non ti scordare di me”.
Classe IV BSU
Istituto Quasimodo
Magenta