Un giorno nella sua vita
Un giorno nella sua vita
"ERRORE, ERRORE"
Era sempre così, come se un allarme fosse partito all'interno del suo cervello, un segnale forte e costante che occupava l'interezza della sua mente e non permetteva di pensare ad altro. Sapeva che questo tormento non avrebbe avuto fine finché il comando non fosse stato completato, il che rendeva impossibile distinguere le parole del professore che stava probabilmente sproloquiando su Leopardi. Ovviamente il segnale non comunicava a parole ma il comando era comunque dolorosamente chiaro:
"METTI LA PENNA NELL' ASTUCCIO E PRENDILA DI NUOVO IN MANO" Un comando semplice, tutto sommato, se non fosse che una volta non sarebbe stato abbastanza, avrebbe dovuto ripeterlo molte volte, almeno due per ogni volta che ci fosse stata anche una piccola imperfezione nei suoi gesti e ovviamente doveva stare attento che le ripetizioni non fossero un numero multiplo di cinque. Perché lo faceva? Perché non riusciva a ignorare segnali come quello, segnali che nei giorni peggiori si facevano vivi per ogni piccola cosa? Sapeva che non erano reali, che non erano razionali, che nulla di terribile sarebbe successo se avesse deciso di disubbidire. E allora perché anche questa volta stava seguendo alla lettera il comando?
Una volta compiuto l’atto il segnale cominciò finalmente ad indebolirsi e nello stesso momento si udì il suono della campanella che annunciava il termine delle lezioni.
Mentre riponeva libro e quaderno nello zaino, si fermò per dare uno sguardo al foglio che avrebbe dovuto contenere i suoi appunti. Vuoto, salvo per delle scritte cancellate e ripetute molte volte, sempre uguali, che formavano macchie che sembravano tatuaggi sulla pelle della carta.
Sospirò e cercò di convincersi che la mancanza degli appunti fosse il problema, che importasse qualcosa, mentre sentiva un’onda di frustrazione che riempiva il suo corpo.
Mentre percorreva la strada di casa pensava a come la situazione stesse degenerando. Questi “Disturbi Ossessivi Compulsivi”, come li aveva chiamati la psicologa, stavano invadendo ogni parte della sua vita e come se non bastasse non era più in grado di reprimerli neanche quando si trovava in pubblico. Non voleva assolutamente che gli altri notassero le sue “stranezze”. Temeva che in quel caso avrebbero pensato che fossero sintomo di qualche tipo di pazzia o peggio ancora che offrissero vaghe e vuote parole di conforto, senza comprendere la situazione né avere la minima intenzione di impegnarsi a farlo, oppure ancora che non importasse a nessuno, e forse era proprio questa la sua più grande paura.
Aveva sempre pensato che, per quanto difficile da trovare, ci fosse una soluzione ad ogni problema, un rimedio ad ogni male, ma questa volta sembrava che nulla funzionasse. Possibile che non esistesse una cura?
Una volta a casa, aprì il frigorifero per prepararsi il pranzo ma si fermò; quel giorno la casa sarebbe comunque stata vuota tutto il giorno, così decise di prendersela comoda e di andare a prendere una boccata d’aria sul tetto. Mentre saliva la scala, sentì una voce e si voltò. Nessuno. Era la terza volta che succedeva nel corso della giornata.
C’erano due motivi per i quali saliva spesso sul tetto: il primo era che da lassù poteva vedere tutta la città, e la vista trasmetteva un senso di libertà che non riusciva a trovare in nessun altro luogo. Ma quel giorno si trovava lì per il secondo motivo; si portò sul bordo e invece di guardare in avanti guardò in basso e si chiese cosa sarebbe successo se avesse fatto ciò a cui spesso pensava ma che sapeva non avrebbe mai avuto il coraggio di fare. Quanti avrebbero sentito la sua mancanza? I suoi problemi sarebbero davvero scomparsi? O forse sarebbe stato solo un gesto di pura codardia che non avrebbe portato a nulla? In quel momento sentì il telefono nella sua tasca vibrare. Non aveva molta speranza che i social potessero cambiare una giornata come quella ma non avendo idee migliori decise di controllare.
Una faccia amica e poche semplici parole “Ehi tutto bene? Oggi ti ho visto un po’ giù”.
E per un attimo si sentì meglio e pensò “Forse c’è ancora speranza”.
Classe VC LSSA
Istituto Sarocchi
Siena